ROVIGO, TERRA DI MEZZO DOVE FETONTE CADDE NEL PO

La magia della città del Polesine, ricca di storia e di arte tra castelli e ville, musei e affreschi del Seicento

di Valerio Griffa

Ma dove è caduto Fetonte? Il Figlio del Sole, inesperto nel guidare i cavalli del padre, tanto che dovette intervenire Zeus per fermarlo, cadde nel Po. Come dice Dante, «Maggior paura non credo che fosse quando Fetonte abbandonò i freni…».
Il Po di Crespino, vicino a Rovigo, lo accolse, si dice. Lo ricorda orgogliosamente il paese, con la piazza Fetonte. Il mito aiuta a capire. L’Adige di qua, il Po di là, tutti e due tesi a raggiungere l’Adriatico. In mezzo, una terra instabile, dettata dai capricci dei fiumi, che poi non sono altro che le conseguenze del perenne viaggio dell’acqua, come insegnano i sussidiari delle elementari. Dolce, questa terra di mezzo, e intatta. Il terremoto che ha sconvolto le vicine contrade emiliane qui non ha fatto danni, per fortuna. Rovigo sta in centro a questo sistema naturale, con il suo bel naviglio.

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«Una città di campagna», per dirla con lo scrittore Cibotto, a sottolineare la contiguità con le terre circostanti. Una campagna che offre prodotti dop come l’aglio polesano, o igp, come il radicchio, l’insalata di Lusia, il riso. Prodotti che trovano un’interpretazione nella cucina polesana che ha una sua originalità, come nel caso delle salsicce all’aceto con polenta e radicchio o del risotto con i fagioli.
Rovigo è piacevolissima, nella dimensione di città d’arte, grazie in particolare alle quasi contrapposte piazze Vittorio Emanuele e Garibaldi, all’armonioso Teatro Sociale (da segnalare che Katia Ricciarelli è rovigotta) e alla Rotonda, un santuario ottagonale costruito per la Madonna del Soccorso, con un ciclo di affreschi dei migliori veneti del Seicento. Da vedere il Museo dei Grandi Fiumi a San Bartolomeo, che racconta l’archeologia e la vita tra Po e Adige.
Terra contesa, tra Estensi e Serenissima, il Polesine, e proprio per questo disseminata di castelli, fino a quando il dominio veneziano portò le ville. Forse, però, per iniziare bisogna andare ad Adria, un tempo sul mare. Da qui passava la Via Popilia romana e, prima ancora, c’era un insediamento etrusco e poi greco, centro di commercio dell’ambra che proveniva dal Baltico. Per questo, forse, le sorelle di Fetonte che piangono la sua caduta vedono le loro lacrime trasformarsi in ambra.
Questa bella storia è testimoniata dal Museo Archeologico Nazionale, che presenta notevoli collezioni, tra le quali i vetri orientali, una biga dalla sepoltura di un guerriero celtico e la ceramica attica a figure rosse e nere.
Arquà Polesine ha quello che non ti aspetti. Un castello meraviglioso, recuperato come edificio comunale. Costruito come luogo di difesa nel XII secolo, trasformato in dimora gentilizia nel Cinquecento, con un canale che disegna un cuore intorno, offre un ciclo di affreschi che testimonia la cultura del patriziato veneto dell’epoca. Miti greci, raccontati con occhio rinascimentale, una specie di decalogo per ricordare quel che è bene fare e ciò che è sconsigliabile. Sopra le teste e sulle pareti scorrono dei, eroi, allegorie grottesche, ma anche l’orgoglio, come nel caso del Vecchio Po che consegna il ramo d’ulivo alla Giovane Venezia.
Villa Badoer (1570) è un piccolo sogno. Come le altre ville venete è stata un modo per mostrare, un attestato pubblico di ricchezza. Ma non lungo il Brenta, la Cortina dell’epoca, bensì lungo un canale, lo Scortico, al tempo navigabile tra Ferrara e Venezia. Qui il sommo Palladio ha messo insieme i suoi volumi e le sue armonie, un corpo centrale con colonnato e timpano, le barchesse semicircolari ai lati, un salone passante, il piano nobile, gli affreschi. Una scenografia che l’Unesco ha voluto nella sua lista dei Patrimoni dell’Umanità. Ma Fratta Polesine, luogo natale di Giacomo Matteotti, è anche la più grande necropoli europea dell’Età del Bronzo, come testimonia il Museo Archeologico.
Dopo castelli e ville, c’è anche l’Abbazia. Nel IX secolo, infatti, l’Adige ruppe gli argini, formando un nuovo ramo, l’Adigetto. Un ramo è più affidabile, e così nacque l’Abbazia benedettina della Vangadizza (X secolo), per far fruttare quei terreni, come qualcuno individua nella prima parte del nome. Una bella costruzione, con quel che resta della chiesa, un chiostro, un affascinante campanile pendente. Tra un fiume e l’altro, i gorghi ricordano il dominio dell’acqua. Sono laghetti alimentati dalla falda acquifera, nel terreno argilloso, così chiamati perché, a volte, il deflusso dell’acqua genera vortici. Ce ne sono a Trecenta, sono isole di biodiversità, ricche di fauna.
In fondo, l’emblema del Polesine è Bergantino, che ospita il Museo Nazionale della Giostra. Chi meglio di una giostra può riassumere il sogno precario di vivere in mezzo alle acque?
“L’Adige di qua, il Po di là, entrambi tesi a raggiungere l’Adriatico. In mezzo un territorio instabile”
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“La Stampa”,   19 luglio 2012